08 maggio 2021 - 06 luglio 2021
Viaggio 16
Forgiare, sottrarre, rimaneggiare, assemblare; scomporre, accumulare, dislocare, risignificare. La scultura contemporanea produce le proprie forme attraverso numerose modalità, pertinenti alla dimensione fabbrile e a quella intellettuale. Il XX secolo ha visto ampliarsi quel patrimonio di possibili azioni sulla materia che, per millenni, gli operatori della disciplina hanno avuto a disposizione. Parallelamente, si è registrato un incremento considerevole delle sostanze soggette al processo di elaborazione scultorea: alle materie della tradizione si sono affiancate quelle di origine industriale, gli oggetti d’uso quotidiano, i frammenti dei medesimi. Grazie al lavoro degli esponenti più inclini alla sperimentazione, movimenti come il costruttivismo, il dadaismo, l’informale, l’arte povera, il minimalismo – per ricordarne solo alcuni – hanno contribuito a rendere potenzialmente plasmabile l’intero corpo del mondo.
Gli esiti di questo graduale, ma profondo cambiamento dell’arte plastica sono oggi chiaramente leggibili. Da un lato, le differenti prassi operative non sono più solamente finalizzate alla creazione di una forma tridimensionale, imponendosi invece come vero e proprio linguaggio. Il discorso, o racconto silenzioso a cui danno luogo, risulta essere un importante contributo di senso al risultato formale, che di esso non dissimula, ma più spesso evidenzia, i segni. Dall’altro, la materia è divenuta soggetto dell’operazione espressiva, poiché le sue qualità peculiari fanno da guida all’azione formatrice dell’artista, ed innalzano il quoziente metaforico dell’opera. Assumendo tale rilievo, materie e materiali porgono una richiesta all’osservatore: quella di rivolgere loro uno sguardo di tipo tattile, che possa compiutamente riconoscere e sentire la loro natura. Questi aspetti, si potrà obiettare, non sono mai stati del tutto estranei alla pratica scultorea, ed erano già stati avvertiti in passato da alcuni dagli artefici, e osservatori, più illustri. L’elemento di differenza che cogliamo è la consapevole, deliberata intenzione degli scultori contemporanei di assegnare a essi un ruolo chiave nella pratica operativa, ritenendoli essenziali per lo sviluppo di una poetica della forma. Nella stessa direzione muove un’ulteriore consapevolezza, che rappresenta anch’essa un tratto comune tra gli operatori del presente; l’idea che creare un volume significhi non solo riconnotare la materia di cui è fatto, ma anche lo spazio che lo circonda.
Le opere selezionate per l’esposizione Materia e Materiali, sebbene non possano comporre una mappa esauriente delle esperienze plastiche contemporanee, consentono tuttavia di leggerne in controluce le dinamiche e riconoscerne i principali orientamenti. L’elenco dei loro artefici contempla nomi di artisti emergenti, di altri affermati a livello internazionale, di altri storicizzati.
Stefano Arienti ha nella Turbina una delle tipologie formali più rappresentative del suo operare. L’oggetto, irradiante una forte, benché solo virtuale, energia cinetica, è ottenuto tramite la piegatura di un albo a fumetti: un procedimento solo in apparenza semplice e ripetitivo, che richiama al tempo la dimensione primaria del lavoro umano e il valore figurato della piega. La voce dei materiali, la loro corrispondenza simbolica con la nostra vita, ispirano la scultura di Mario Ceroli, denotata dall’iterazione o sovrapposizione di sagome lignee aventi quale riferimento iconografico la figura umana. La serie degli Applausi vede l’artista concentrarsi sulle mani e indicare la centralità dell’esperienza tattile in ogni processo di conoscenza, e trasformazione, dell’ambiente fisico.
Cecile Surga si confronta con la materia forse più nobile della scultura, il marmo. Il suo intervento sottrattivo conserva la squadratura originaria del blocco, aprendo però sulle sue superfici alcune fenditure: queste evocano la morbidezza del panneggio nella scultura classica, e consentono all’aria e alla luce di penetrare il volume, donandogli un illusorio respiro. La vocazione spaziale dell’opera di Lucio Fontana è rilevabile anche nelle sue esperienze con la ceramica policroma. Nell’opera qui presentata, il modellato non ha quale fine la restituzione, in termini naturalistici, della figura del Cristo della crocifissione, ma la plasmazione dello spazio in cui è inserita, nonché la sottolineatura della componente sensuosa del materiale.
Il lavoro di Alberto Garutti, dalla natura prettamente concettuale, si proietta nello spazio esterno allo studio d’artista e alle sedi espositive. Con le sue Matasse di nylon, l’artista riproduce la distanza fisica che lo separa da persone e luoghi aventi particolare significato per la sua attività artistica, dando concreto risalto al sistema di relazioni, o meglio ai fili invisibili, che ne ordiscono la trama.
Ale Guzzetti trasforma l’entità scultorea in un dispositivo capace di generare accadimenti percettivi di diversa natura. Il loro prodursi mutevole è connesso all’intervento portato dal fruitore, invitato nel caso delle Plastiche parlanti a modellare le caratteristiche dell’evento sonoro scritto nei circuiti che l’oggetto nasconde. Guzzetti usa perciò le opportunità offerte dalla tecnologia per convertire la “macchina” in un organismo relazionale.
Le opere di Paolo Icaro qui presentate, Senza titolo e Filo d’ombra, sembrano testare le facoltà di relazione del gesso, materiale d’elezione dell’artista, con altri elementi. Se nella prima la sua opacità limpida si sposa ai riflessi del vetro, originando una forma contrassegnata da allusioni organiche, nella seconda si combina alla carta e al filo di ferro per suggerire una lieve, indefinita visione paesaggistica. Paesaggio e natura sono luoghi tematici implicati anche nell’opera di Luigi Mainolfi, che offre con il Bosco un saggio della sua capacità di trasfigurare il dato di realtà allo scopo di restituirne la proiezione nell’immaginario. L’uso della terracotta ha valore simbolico nel suo lavoro, profondamente connesso alle culture popolari e al sapere manuale arcaico. La scultura di Nunzio prescinde invece da qualunque ispirazione naturalistica, per sviluppare un’indagine sulle materie tesa a sondarne la sensibilità e la facoltà comunicativa. Piombo e legno sono oggetto della sua riflessione nei lavori compiuti per questa mostra, sintatticamente organizzati su di un’alternanza di concavità e convessità, depressioni e rilievi.
È Alex Pinna a rimettersi sulle tracce del linguaggio figurativo, raggiungendo il territorio al centro della geografia disegnata dalla scultura attraverso i secoli: quello del corpo. Alias sembra però sovvertire le pratiche e riscrivere i canoni di ogni tradizione; conformata avvolgendo una corda a un’anima di acciaio, una figura umana si eleva sui suoi lunghissimi arti inferiori, incombente e impenetrabile come un’ombra. Materie e materiali subiscono, nell’opera di Arcangelo Sassolino, l’attacco di forze e dispositivi meccanici che ne insidiano l’integrità. Queste operazioni hanno lo scopo di indurre uno stato di tensione nell’osservatore, rendendolo partecipe della prova o del sacrificio a cui l’elemento è sottoposto. I medesimi propositi sembrano perseguiti attraverso l’intensa fisicità di I.U.B.P, lavoro selezionato per l’esposizione.
Le opere di Giuseppe Spagnulo scaturiscono dalla relazione tra il mistero della materia e il sogno della forma. Pur non utilizzando un linguaggio descrittivo, l’artista pugliese ha fuso in esse la memoria dei miti e dei paesaggi mediterranei, nonché depositato la particolare energia della sua azione. Il Senza titolo qui proposto nasce dalla spezzatura di un elemento in ferro, divenuto il relitto di una geometria immaginaria.
Anche Mauro Staccioli guarda al mondo della geometria, per poi reinventarne le forme e trasformarle in segni plastici capaci di fendere lo spazio modificandone la percezione. Triangolo vuoto e Segno aperto sono lavori rappresentativi del suo alfabeto espressivo, ove configurazioni curvilinee si alternano ad altre più rigide e taglienti. Gli equilibri - in apparenza - instabili sui quali le opere sovente si reggono, appaiono indirizzati a dare evidenza alla dimensione del vuoto. I moderni materiali edilizi, costantemente coinvolti nella sua scultura, acquistano un valore semantico ancora più rilevante in quella di Giuseppe Uncini, prestandosi a richiamare, con la loro stessa presenza, il paesaggio urbano contemporaneo. Spazi di ferro n.86 prende forma dalla combinazione di cemento, mattone e ferro, e trova una particolare tensione espressiva nelle variazioni prospettiche innescate dalla sua organizzazione strutturale.
Nicola Galvan